Fonte: Ritae Dicatum 8 maggio 2022
Non appena ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel grembo di Elisabetta, la quale, colmata di Spirito Santo, pronunciò quel bel saluto alla Vergine, che quotidianamente ripetiamo nella recita dell’Ave Maria. Zaccaria fu privato della parola, a causa della propria incredulità, finché, confermato il nome del Precursore su una tavoletta, potè nuovamente benedire il Signore. Ancora la prima strofa dell’inno di San Giovanni Battista, da cui furono tratti i nomi delle note musicali, rivolge un’accorata preghiera al Santo, perché, mondate le labbra dal peccato, possano i figli di Dio proclamare le meraviglie dell’Altissimo. Una lode che non è solo espressione verbale e nemmeno puramente canto, ma piuttosto un risuonare di fibre, ovvero una vibrazione che diparte da voci e da strumenti e permea ogni angolo del luogo sacro. Dunque sussiste una stretta relazione tra il suono e la disposizione orante dell’anima e l’uomo ne ha sempre colto il profondo valore, cosicché l’accordo tra due o più voci non si risolve meramente nell’esercizio tecnico; nel comporre armonie l’uomo accorda voci e strumenti alla ricerca di un riflesso intellegibile della perfezione trinitaria, consapevole di non poter accedervi. Un risuonare di fibre che pare alludere al fenomeno acustico per cui due corpi distinti, aventi uguale frequenza, possono comunicare reciprocamente il proprio moto armonico, senza vincolo diretto, e se il Creatore infonde il proprio soffio vitale in ogni uomo, non vi è dubbio che nell’animo di ciascuno è impressa una melodia universale e trascendente. Nelle parole del salmista, che esorta a cantare con arte e maestria, si intuisce pertanto l’esigenza di sondare gli accenti, il carattere e i diversi colori del linguaggio terreno, per ricercare quel modo e quell’espressione che più di altre possa afferrare il linguaggio divino. L’esultanza improvvisa di Giovanni, ancora nascituro e immerso nel silenzio delle viscere materne, e il sussurro della brezza leggera, in cui Elia scorge la voce di Dio, sembrano quasi preludere al canto pacato e severo di antichi monasteri, luoghi lontani dal clamore delle strade, delle piazze e dall’incalzante ritmo dei suonatori da ballo. Si è discusso in passato e ancora si dibatte sull’opportunità di offrire concerti spirituali in chiesa, spesso trascurando l’origine propriamente liturgica di molti brani, che oggi si propongono in sporadiche (e poco frequentate) serate. Si nutre l’orecchio per sfamare il cuore, educare l’animo, sorprendere l’intelletto; dinnanzi al Crocifisso il trasporto emotivo conduce alla contemplazione, ogni melodia racconta un particolare dell’agonia del Cristo e diviene dialogo interiore.
Di Carlo Mazzone