Dalle “Lettere” di sant’Agostino, vescovo (Ep. 55, 1, 2-2, 3; 3, 5)

Da morte a vita
Noi celebriamo la Pasqua in modo che non solo rievochiamo il ricordo d’un fatto avvenuto, cioè la morte e la risurrezione di Cristo, ma lo facciamo senza tralasciare nessuno degli altri elementi che attestano il rapporto ch’essi hanno col Cristo, ossia il significato dei riti sacri celebrati.

In realtà, come dice l’Apostolo: Cristo morì a causa dei nostri peccati e risorse per la nostra giustificazione (Rom 4, 25) e pertanto nella passione e risurrezione del Signore è insito il significato spirituale del passaggio dalla morte alla vita.

La stessa parola Pascha non è greca, come si crede comunemente, ma ebraica, come affermano quelli che conoscono le due lingue; insomma il termine non deriva da passione, ossia sofferenza, per il fatto che in greco patire si dice , ma dal fatto che si passa, come ho detto, dalla morte alla vita, com’è indicato dalla parola ebraica: in questa lingua infatti passaggio si dice Pascha, come affermano i dotti.

A cos’altro volle accennare lo stesso Signore col dire: Chi crede in me, passerà dalla morte alla vita (Gv 5, 24).

Si comprende allora che il medesimo evangelista volle esprimere ciò specialmente quando, parlando del Signore che si apprestava a celebrare la Pasqua coi discepoli, dice: Avendo Gesù visto ch’era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre etc. (Io 13, 1). Nella passione e risurrezione del Signore vien messo dunque in risalto il passaggio dalla presente vita mortale a quella immortale, ossia il passaggio dalla morte alla vita.

 (Cristo) dormì perché stessimo svegli noi, Lui che era morto perché fossimo vivi noi. (Sermo 221, 4)