Un lettore ci scrive:

L’esperienza del peccato è l’esperienza di una dolorosa scissione dell’unità dell’anima, ben espressa da san Paolo che confessa: “io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”. Nel suo percorso san Paolo comprenderà che solo Cristo può ricomporre questa divisione fino a dire che Cristo è venuto “per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio”.

Come interviene il Signore per riunificare la nostra interiorità scheggiata?

 

Bisogna dire innanzitutto che dietro la domanda posta c’è una coscienza altissima e non comune della fede cristiana. Non è di tutti dire che l’esperienza del peccato consiste in una divisione dell’anima, della persona, così come anche Paolo ne parla nella lettera ai Romani al cap 7; una divisione che solo Cristo è in grado di risanare e quindi restituire alla persona l’unità del suo io.

Ora, la persona è già unita nel suo “io” tramite un fattore determinante la cui forma è quella che il Card. Montini, Arcivescovo di Milano, nella Lettera pastorale per la Quaresima 1957 definiva come “senso religioso” e che si esprime nelle domande, nelle esigenze che ci troviamo addosso, in quella esigenza di infinito che non ci fa mai accontentare di niente e, come diceva il grande Agostino, ci inquieta, ci tormenta. Questa unità dell’io, però, si può rompere per via di un virus che abbiamo ereditato, come una malattia genetica, e che si chiama “peccato originale”. La Chiesa chiama peccato originale il peccato di Adamo non perché è avvenuto all’origine dell’umanità, ma perché sta all’origine del nostro io, della nostra anima. Dio, creandoci, fa di noi delle creature buone, ma creature che portano nel proprio DNA questo virus terribile che ci paralizza: da una parte c’è il desiderio del bene e dall’altra l’incapacità a realizzarlo.

La domanda dice: come interviene il Signore a riunificare il nostro io?

Lo fa come farebbe un chirurgo davanti a una malattia mortale: con un intervento. Gesù è venuto a guarire il male più grande: la nostra incapacità di compiere il bene; e lo fa mettendo in noi la stessa vita nuova che ha fatto irruzione, in modo inaudito, nel suo corpo morto, dopo la crocifissione e lo ha reso più vivo di prima, più attraente di prima. Per noi cristiani il Battesimo è proprio questo fatto inaudito e sorprendente, è la nostra rinascita. Ed essa continua nel tempo nell’incontro con lui, cioè con la Chiesa, con i suoi sacramenti: il Battesimo, la Confessione, l’unzione degli infermi, segni attraverso i quali continua a fare irruzione quella vita nuova, capace di riunificare e pacificare le nostre anime.

Quando un chirurgo fa un intervento per guarire un malato, prescrive una cura perché la guarigione si mantenga nel tempo. Così fa anche il Signore con noi: la vita della Chiesa, l’esperienza della fede dei santi è la continua cura perché l’unità della nostra persona si mantenga nel tempo e porti i suoi frutti.

La Redazione