di Gaetano Tirloni
La serata di ringraziamento ai volontari di S. Rita (6 giugno ) si apre con la santa Messa. Concelebrano padre Massimo e padre Giovanni. Il priore, nell’ omelia, parla del cristianesimo come rivelazione dell’amore; e precisa che Gesù non è venuto a fondare una religione ma a donare se stesso come esempio.
Il temporale che tutte le previsioni meteo davano sicuro nel pomeriggio, questa volta lascia asciutta la Barona e permette l’espansione di una genuina convivialità. Si ritrovano attorno ai tavoli i responsabili dell’ordine all’ interno del santuario, identificati nella maggioranza come carabinieri in congedo. La Benemerita vigila anche con i suoi uomini in pensione ma imbattibili nell’ esperienza antifurto.
A fianco, ecco i venditori di oggetti sacri. I pellegrini lasciano il santuario soddisfatti con un ricordino in mano. Che non è – come qualcuno insinua – superstizione, bensì manufatto di fede.
Spopolano le splendide signore delle rose. Le quali col fiore offrono ai fedeli il vademecum contro le punture di spine, sintetizzato in un’invocazione alla santa degl’impossibili.
Né mancano i lettori e, soprattutto, le lettrici, che han spolmonato si sono sgolate il 22 maggio (e dintorni) nel proclamare la Parola di Dio. È, questo, un servizio poco considerato ma dal valore immenso.
Tra i volontari spiccano coloro che lo sono durante tutto l’anno. E se le celebrazioni nel santuario mantengono un buon decoro, è innanzi tutto grazie a loro.
Si snoda la serata nell’ allegria, che nemmeno qualche bicchiere in eccesso sfregia. C’è in tutti la pacata consapevolezza di servire il prossimo amando il Signore. La fragilità non diventa motivo di depressione ma sicura ancora di umiltà.
Il cielo rimane nuvoloso e le stelle, per una volta, si nascondono. Però brillano nei cuori dei volontari. Con una luce dall’intensità prodigiosa.
E una cometa all’ improvviso spunta e si ferma sopra il tabernacolo. Non è un’illusione ottica derisa dagli scientisti, tarlati dalla disperazione. E una realtà che solo i puri di cuore percepiscono. Perché vedere con gli occhi non è uguale che ammirare col cuore.