Marina Locatelli : Fonte Rivista del Santuario n. 3 2022

Il perdono è qualcosa che su cui mi interrogo molto. Non stavo cercando libri sull’argomento, ma è stato come se Dio avesse ascoltato questo mio bisogno. Leggendo un articolo su un giornale ne ho trovato uno, Il professore e il terrorista,che vi ho presentato nel numero scorso. Il secondo, mi è stato proposto dopo una cena con amici ai quali ho parlato della difficoltà che ho sul perdono. Un terzo l’ho trovato su un banchetto di libri a un’iniziativa alla quale ho partecipato.

Oggi è il 19 marzo e non so quando uscirà questa recensione, ma credo che in un momento come questo, dove i venti di guerra si fanno sempre più vicini, abbiamo bisogno tutti di fare una riflessione sul perdono e di chiedere la grazia per esserne capaci; quindi, vi propongo la lettura di questi ultimi due libri.

Il primo si intitola La crepa e la luce, di Gemma Capra Calabresi. Per chi come me negli anni 70 non era più un bambino, il nome Calabresi evoca un periodo di grande conflittualità e violenza: evoca il tempo del terrorismo. Gemma è la giovane moglie del commissario Luigi Calabresi e in questo libro racconta il suo incontro con Gigi, come lo chiama lei, i brevi anni del loro matrimonio e il suo lungo cammino verso il perdono. Impiegherà molti anni per riuscire ad arrivare a perdonare gli assassini del marito, ma da subito ha una certezza: educare i tre figli al di fuori del rancore e della rabbia.

Due cose mi hanno colpito nel suo racconto. La prima è quando il suo parroco, senza emettere suono, ma solo con il movimento delle labbra, sillaba “È morto”. Gemma cade seduta sul divano, don Sandro le stringe le mani lei rimane intontita. Amici e parenti vengono in visita a casa, ma è come se lei non fosse lì. Scrive: “Era come se qualcuno mi avesse presa in braccio, e io abbandonata in quell’abbraccio, capii, seppi, senza ombra di dubbio, che ce l’avrei fatta, che la mia vita sarebbe stata sicuramente diversa, ma io con i bambini saremmo andati avanti perché non ero sola… Sono certa che su quel divano, nel momento più basso della mia vita, nella solitudine e nella disperazione, ho incontrato Dio… Strinsi le mani di don Sandro e mormorai: “Diciamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino””. La seconda è il necrologio: le parole proposte dalla madre di Gemma furono le più adatte a spezzare la catena di odio di cui un intero paese era diventato prigioniero. Si tratta delle parole che Cristo rivolge al Padre sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Il secondo libro che desidero consigliarvi, invece, è Maïti. Resistenza e perdono. Il testo racconta la testimonianza di Maïti, ragazza svizzera tedesca, che vive in Francia e al tempo della Seconda Guerra Mondiale non ha ancora 18 anni. La famiglia è benestante, il padre è un musicista conosciuto a livello internazionale e, pur venendo da una famiglia protestante, si è convertito al cattolicesimo e ha trasmesso la sua fede alla figlia. Maïti impara a leggere le note ancor prima di leggere le lettere. Fin da piccola suona il pianoforte con maestria e il futuro che immagina è quello di una vita da concertista. Ma c’è la guerra e le circostanze che si trova a vivere la conducono a entrare nella Resistenza. Viene arrestata nel ’43 e per quattro mesi subisce torture che distruggeranno il suo fisico e i suoi progetti di vita futura, ma non il suo spirito e la sua fede. Nelle pagine in cui racconta il momento dell’arresto scrive: “Dall’infanzia avevo capito che una vita si costruisce rispondendo alle chiamate ricevute: ciò che conta non è prevedere ciò che arriverà, quanto essere all’altezza delle circostanze che si presentano in ogni istante. Non avevo da scegliere il mio cammino, ma da accoglierlo”. Gli interrogatori furono prima solo verbali, poi arrivarono le botte e la tortura. Al termine del primo interrogatorio violento, la prima cosa che fece fu recitare il Padre Nostro, e scrive: “Ma la seconda volta sentii che quelle parole mi riguardavano personalmente, che la preghiera che ci aveva lasciato Cristo si inscriveva nella mia storia. Sì, dovevo perdonare. Sì, anche per loro Cristo stesso aveva offerto la sua vita. Dio amava tutti gli uomini e chiedeva anche a me di amarli”. Durante quei quattro mesi di violenze Maïti tiene questa posizione, e la trasmette anche ai suoi compagni di prigionia. Quarant’anni dopo la fine della guerra riceve una telefonata inaspettata, quella del suo torturatore che la vuole incontrare. Accetta. Per anni aveva provato angoscia per quell’uomo, che le aveva inferto così tanta sofferenza: non voleva che potesse morire deformato dal male compiuto, e desiderava perdonarlo. Nell’attesa dell’incontro si domanda se veramente sarà capace di perdonare e nella postfazione trovate queste parole:

“Perdono, le chiedo perdono.

Cosa posso fare adesso?

Come posso riparare il male commesso?” 

“Con l’amore”, gli dissi,

“La sola risposta al male è l’amore”.