Padre Francesco Maria Giuliani,

oggi parroco per progettare il domani

lI 13 novembre 2016 padre Francesco Maria Giuliani faceva il suo ingresso come parroco di s. Rita. Riceveva il mandato da mons. Faccendini, vicario episcopale per la zona centro di Milano. Una curiosità: scelse il 13 novembre in omaggio al fondatore del suo Ordine, sant’ Agostino. Il quale vedeva la luce giusto il 13 novembre del 354, a Tagaste, città nord africana. È volato un anno da allora. È tempo dei primi bilanci.

Padre Francesco Maria ha un certo pudore a raccontarsi : quella sorta di ritrosia che adombra le persone intelligenti asperse di sensibilità. Tuttavia alcuni sintetici cenni biografici sono d’obbligo. Padre Giuliani nasce a Roma il 28 novembre 1969. Dopo la laurea in matematica, entra nell’Ordine Agostiniano. Compie il pre-noviziato a Palermo e il noviziato a Cartoceto di Pesaro. Continua gli studi a Roma. Brillantemente. Tanto da conseguire il baccellierato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana e la licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico. Già parroco in S. Felicita (Firenze) e segretario della provincia agostiniana italiana con padre Luciano De Michieli, prima di approdare a Milano ha ricoperto l’incarico di sacrista in s. Maria del Popolo, nel centro della Capitale.

Dopo un anno come si è ambientato a Milano?

Benissimo. La metropoli del fare è abitata da persone serie. Forse, a cercare un difetto, poco fantasiose. Ma molto attive e propositive.

Quale differenza ha sperimentato fra i ritmi romani e quelli ambrosiani?

Milano è come un orologio che rintocca in anticipo; il quadrante romano, spesso s’attarda.

Cosa l’ha sorpresa maggiormente, in positivo, nella sua nuova esperienza meneghina?

La coscienziosità, la disponibilità e l’impegno delle persone.

Rita è parrocchia e insieme santuario. Come convivono le due realtà?

Magnificamente. Tanto più ora che la dimensione parrocchiale tende oggi a dilatarsi a nuove esperienze inclusive.

Reputa buona la frequenza dei parrocchiani alla s. Messa festiva?

Premetto che è difficile distinguere fra parrocchiani e pellegrini. Comunque la ritengo ottima. Purtroppo la partecipazione scende con il decrescere dell’ età. E su questo bisogna lavorare.

L’oratorio è diventato una “riserva indiana” o – a suo parere – rimane un’istituzione importante?

L’ oratorio milanese è un ambiente di grazia ma da ripensare. E per farlo serve una fantasia alla Agostino, o Filippo Neri, o don Bosco…

Quale rapporto intercorre fra sport e parrocchia?

Due realtà parallele. Ma ho constatato che lo sport oggi è l’unica agenzia educativa capace di trasmettere disciplina ai giovani.

Il mondo giovanile per lei è un segmento di apostolato privilegiato?

Indubbiamente. Non posso negarlo, hanno un posto speciale nel mio cuore. Anche se nel mio cuore c’è posto per i fedeli di tutte le età.

C’è sintonia fra parrocchia e istituzioni civili (per esempio, il Municipio 6)?

Abbastanza. Il Comune ci dà una mano sopra tutto in campo caritativo e nei servizi sociali.

Ritiene il Consiglio pastorale parrocchiale sostanzialmente superfluo o, viceversa, lo considera utile?

Valuto il C.P.P. assai importante. Talmente tanto che è un’impresa modularlo per un funzionamento efficace.

Una volta il catechismo era plasmato su un solo. Ora, invece, è dilatato in 4 anni. È una vittoria della formazione o della burocrazia religiosa?

La stupirò. Considero 4 anni insufficienti. Un tempo le famiglie erano impregnate di religiosità e fungevano da prime, indispensabili scuole di catechismo. Attualmente il panorama sociologico è stravolto. Bisogna partire da sotto zero. Ma il catechismo bisogna farlo gustare!

A proposito di corsi. Quello in preparazione al Matrimonio serve?

Sì, innanzi tutto ad incontrar persone che altrimenti difficilmente si accosterebbero ad un sacerdote; poi a gettare il seme della fede in terreni considerati, con l’occhio razionalista, terra bruciata (penserà il buon Dio a far fruttificare); infine a stabilire rapporti di carità anche con i “lontani”. Giudico gl’incontri pre-matrimoniali un’esperienza bellissima.

Avevamo citato i movimenti. Ma la parrocchia vive anche per i gruppi: quello liturgico, quello missionario, la Caritas… Tutto fila liscio o a queste aggregazioni servono aggiustamenti?

Vorrei che i gruppi presenti si affinassero così bene da rendere superflua la supervisione del parroco.

Ha un sogno, che vorrebbe realizzato in un futuro prossimo?

Sì, quello di un’assemblea pastorale di tutti gli operatori per uniformare gl’intenti e arrivare ad un traguardo comune, condiviso.

Il papa e i vescovi hanno un motto che li caratterizza. Dovrebbero adottarlo anche i parroci. Nell’eventualità, quale sceglierebbe?

Una frase di san Paolo : “ Ve lo ripeto, rallegratevi”.

E con la gioia, che dovrebbe sempre contraddistinguere il credente, l’intervista si chiude. E si aprono per padre Francesco Maria scenari di lavoro difficili ma entusiasmanti.

Intanto, martedì 28 inondiamolo di auguri……..

Gaetano