Conserva la vitalità della gioventù. Né gli fa difetto la freschezza degli anni d’attacco. E dopo otto lustri di Perù, il suo linguaggio mostra un italiano perfetto, libero da cadenze della lingua degli Incas.
Padre Giacomo Bonaita nasce a Martinengo, in provincia di Bergamo, il 6 gennaio 1944. A undici anni e mezzo varca la soglia del seminario minore di Loano. Nel 1960-61 fa il noviziato a San Gimignano (Siena). Segue il corso di Filosofia a Viterbo (1961-66); quindi Teologia, a Bologna e a Roma, dal 1966. La professione religiosa data 19 gennaio 1965, mentre risale al 16 marzo di quattro anni dopo l’ordinazione sacerdotale, a Pavia. Dal 1969 al 20 ottobre 1977, quando si congeda da Milano per la missione peruviana, è assistente dell’oratorio maschile del nostro santuario.
Padre Giacomo, si trova in Italia per un periodo di riposo?
Si. Ogni tre anni stacchiamo. Per riprender forza e rivedere parenti, amici e benefattori.
Nonostante la sua non verde età intende ancora rimanere sulla breccia ? Non ha in calendario un rientro definitivo nella terra d’origine?
Un pensierino lo sto facendo. Anche per via della salute. Ho infatti patito due infarti, curati l’uno a Bergamo e l’ altro in una clinica di Lima. Il mio cuore è stanco.
E’ cambiato il Perù dal suo arrivo sino ad oggi ?
Molto. Son migliorate le infrastrutture (strade, comunicazioni). La sanità ha fatto un balzo in avanti. Come l’istruzione. I vecchi e i bambini ricevono un’attenzione maggiore.
Perché ha lasciato Milano? Non riteneva una missione importante una metropoli “confusa”?
Ricordo i miei anni di apostolato in s. Rita a Milano con profonda commozione. Non è questo. Il mio desiderio di essere missionario in terre lontane risale alla giovinezza, quando divoravo la rivista “ Il piccolo missionario“ del Pime, che ha avuto uno sviluppo durante la professione religiosa, per mettere radici negli anni del sacerdozio.
Mi parli del suo impatto con l’ Apurimac.
Difficile. Arrivato a Cotabamba, ho pianto tutta la notte. Fosse transitata una corriera il mattino
dopo, l’avrei presa al volo e sarei ritornato a Milano. Per un mese sono rimasto solo. Il parroco e gli altri religiosi erano impegnati altrove. Poi, pian piano, con l’aiuto dei confratelli, mi sono ambientato.
Cresce bene il clero indigeno ?
Abbastanza. Sia quello diocesano che quello agostiniano.
Ritiene ancora utile l’apporto dei missionari stranieri ?
Noi abbiamo piantato. Altri raccoglieranno i frutti. Secondo le indicazioni pastorali della Chiesa, alla luce del Vaticano II. Ma per ora la nostra opera è ancora utile.
Partendo per il Perù cosa ha lasciato a Milano con maggior dispiacere ?
L’affetto di molti giovani, seguiti e formati nell’ oratorio.
Come trova l’Italia – spiritualmente parlando – rispetto a quarant’anni fa ?
Peggiorata. E in preda ad una confusione preoccupante.
Monsignor Berni, in un’intervista, mi ha confidato che in Perù convivono tranquillamente fede e superstizione.
Confermo. I peruviani passano dal culto alla Madre Terra a quello della Madonna senza remore. Con naturalezza.
Gli agostiniani operano in una prelatura. Qual è la differenza fra prelatura e diocesi?Chiariamo subito che la prelatura non è una succursale della diocesi. Entrambe dipendono da Roma. La prima, a differenza della seconda, soprattutto a causa della scarsa consistenza, non ha la forza di sostenersi da sola, come organizzazione ed economicamente. Perciò è sempre bisognosa di aiuti…
Ha vissuto tutti gli anni nei quali Sendero Luminoso terrorizzava il Perù. Cosa ricorda di allora ?
Una gran paura. All’inizio il movimento maoista aveva il consenso della gente, perché suppliva, in un certo senso, lo Stato, assente. Il consenso si è dissolto, poi, a causa dei cosiddetti processi popolari. Vere esecuzioni di massa in cui spesso venivano regolate vendette personali e tra famiglie.
Ad un giovane che vorrebbe farsi missionario cosa consiglia ?
Di pregare, per avere chiara la propria vocazione; di vivere da buon cristiano; e di scordarsi il Perù se cerca avventure.
Si à mai pentito della sua scelta missionaria ?
Ci sono stati dei momenti di crisi. Non lo nascondo. Ma pentito, mai.
Mi congedo da padre Bonaita con una convinzione. Il primo luogo da evangelizzare è il nostro cuore. E per farlo dobbiamo ricorrere al Missionario per eccellenza. Ossia lo Spirito Santo
Gaetano