un Provinciale aperto al mondo

di Gaetano Tirloni

Il Provinciale degli Agostiniani d’Italia è figlio della nostra parrocchia e del nostro quartiere. Nato vicino a corso Sempione il 1 febbraio 1959, a 10 anni trasloca in viale Faenza, allora una ruga d’asfalto circondata dai campi e perimetrata dai primi condomini signorili. Dopo il liceo scientifico Allende (piazza Abbiategrasso), si laurea in Scienze Agrarie e lasciate da parte le zolle terrestri, si butta sulle messi del Padre celeste. Fa le sue prime esperienze nel vicino convento di Pavia e quindi il noviziato a Tolentino. Sotto la Madonnina emette le due professioni, semplice e solenne. Frequenta Filosofia e Teologia a Roma e viene ordinato sacerdote il 24 aprile 1994 a Pavia. Poi i conventi di Cascia e Tolentino lo vedono brillante membro, finché non assurge a Consigliere generale dell’Ordine. Dal 2012 è Priore Provinciale degli agostiniani d’Italia e Slovacchia. Iniziamo le domande, alle quali risponde con fluente eloquio, mettendo a dura prova il cronista, costretto, per ragioni di spazio, alla sintesi assoluta.

 

Quanti religiosi conta la provincia d’ Italia?

Centoquaranta circa, ripartiti in 24 conventi. Nel mondo – per la statistica – siamo 2800.

Qual è il convento più numeroso?

Cascia, con 9 frati. Aggiungo che un convento deve avere almeno tre componenti per esercitare in pienezza le sue funzioni.

La crisi delle vocazioni si è attenuata o persiste, drammatica?

Guardi, negli ultimi venti anni la media è stata di cinque decessi per ogni nuovo frate che ha completato la sua formazione, ma in una decina d’anni presumibilmente raggiungeremo un equilibrio. La crisi di fede esiste. I fattori? Diversi. Tra i quali la scarsa conoscenza della vita consacrata e dei suoi valori. Molto è cambiato rispetto agli anni 60.

Prevede dunque per il futuro una nuova mappatura della provincia, con remissioni di conventi e rafforzamento di alcune luoghi importanti: Roma, Tolentino, Pavia, Cascia, Milano?

È inevitabile un ripensamento. Pensi che da quando sono provinciale abbiamo dovuto lasciare ben sette conventi. Grazie a Dio tutti sono stati affidati a diocesi o altre realtà religiose e continuano ad essere luoghi di spiritualità.

Il vostro fondatore, sant’ Agostino, viene considerato da molti storici come la massima mente del cristianesimo occidentale dei primi secoli della Chiesa. Ma dopo di lui l’Ordine non ha sfornato pensatori di alto livello. Si tratta forse della sindrome del capo impareggiabile?

Agostino è unico. Ma altre menti eccelse hanno popolato l’Ordine durante i secoli. Al Concilio di Trento diversi erano i teologi agostiniani in prima fila nel ribaltare le tesi di Lutero, guarda un po’, anch’egli frate agostiniano. Diciamo che Agostino ha avuto una piena riscoperta dopo il Vaticano II. Paolo VI sovente si è consultato con il Generale di allora, padre Agostino Trapè, quando doveva citarlo. E tutti sanno come Benedetto XVI lo conoscesse e lo amasse. Vorrei, poi, fare una precisazione.

A differenza di altri ordini (i Francescani o i Domenicani per esempio), il nostro fondatore è la Sede Apostolica. Nel 1256 a Roma, presso santa Maria del Popolo, si riuniscono, per volere di papa Alessandro IV, i delegati di tutti i monasteri degli istituti eremitici (e altri istituti di minore consistenza) che si richiamano alla regola agostiniana. Alla presenza dell’inviato del pontefice, ascoltano e accettano la volontà del papa di unirsi giuridicamente per costituire un unico grande ordine, l’Ordine degli Eremitani di S. Agostino.

Nasce così ufficialmente la nostra famiglia religiosa. La quale viene annoverata tra gli Ordini Mendicanti o di Fraternità apostolica. Sintetizzando, Padre dell’Ordine è sant’ Agostino; Madre la Chiesa.

C’è una frase di sant’Agostino famosissima ma interpretata in mille modi. Si tratta di: “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Qual è la giusta ermeneutica?

Succede spesso, quando una frase viene estrapolata dal suo contesto, che venga fraintesa o travisata. Molti, agendo in tal modo, hanno falsificato anche la Sacra Scrittura. Veniamo alla sentenza disputata. Sant’Agostino scrive: “Sia in te la radice dell’amore, perché da questa radice non può procedere se non il bene”. E la Radice autentica dell’Amore è Gesù Cristo. Solo da Lui procede il vero Amore, solo in Lui c’è vera libertà, la libertà di fare tutto per amore.

Come mai gli ordini di dura disciplina hanno un surplus di vocazioni, a differenza di quelli storici?

Andrei piano con le statistiche, perché purtroppo sono molti quelli che lasciano dopo aver iniziato, perché cercano solo un bisogno di sicurezza. È vero d’altra parte che i giovani amano la radicalità, e ciò avviene anche nella vita religiosa. Ma il vero problema di oggi è la perseveranza.

Lei proviene – come anche il nostro nuovo parroco – dal mondo della pastorale giovanile. Lo considera ancora il suo campo privilegiato o inizia a simpatizzare per la terza età?

È naturale farsi prossimo a chi ha un’età pari o vicina alla tua. All’alba dei sessant’anni, perciò, pur non rinnegando le mie esperienze trascorse, ho uno sguardo diverso per la generazione dei “maturi”.

La sua laurea in Agraria riposa in un cassetto o tal volta le è servita?

Un bello spirito mi ha detto che dovevo farmi benedettino per farla fruttificare…. Ma anche noi agostiniani abbiamo appezzamenti, orti da coltivare. Così i miei studi non vanno persi… non però nell’applicazione pratica, ma nella sensibilità e formazione che con essa ho acquisito.

Sogna di diventare, in un futuro, Generale dell’Ordine Agostiniano?

No. Nemmeno fare il Provinciale mi solleticava. Al pari di Agostino – che acconsentì ad essere sacerdote e Vescovo soltanto per servire meglio la Chiesa – lo sono diventato per obbedienza. In un tempo in cui è completamente cambiato il concetto di autorità il servizio dell’autorità è molto difficile da esercitare.

Ha suggerimenti per rivitalizzare la nostra parrocchia?

Auspico che in essa si attui la circolarità delle esperienze. Le diversità non devono essere motivo di attrito bensì di arricchimento. Mi auguro che cresca la conoscenza reciproca e il discernimento comune divenga metodo di crescita e di lettura della realtà. Il tutto permeato dalla carità. I frati della comunità si vogliono bene e sanno lavorare insieme: questo è il fondamento indispensabile sul quale si può costruire.

A S. Rita, la taumaturga agostiniana più venerata nel mondo, cosa chiede ogni giorno per il suo ordine?

A Rita chiedo la perseveranza nel bene; di ravvivare la speranza nei momenti bui attraverso il perdono; e sempre il dono di tanta umiltà.

È vero che gli agostiniani sono un Ordine che ha una sua democrazia interna?

Verissimo, come tutti gli Ordini mendicanti. Forse alcuni pensano che nel nostro caso il priore, similmente agli abati o al superiore di altre realtà religiose, abbia un’autorità indiscussa. Invece è solo, nelle cose più importanti, l’esecutore delle deliberazioni del capitolo, la riunione mensile dei frati della comunità. In esso si esercita il discernimento della volontà di Dio e si prendono le decisioni cercando il più possibile una linea condivisa. A volte è anche necessario che alcune scelte vengano prese a maggioranza.

Con quali preghiere apre e chiude la giornata?

Al mattino, prima delle Lodi comunitarie, ringrazio Dio per il dono della vita con parole che sgorgano dal cuore; alla sera chiudo con la bellissima preghiera di Compieta.

C’è ancora spazio nella Chiesa per il protagonismo femminile?

Molto spazio. La Chiesa necessita, per essere sé stessa, della femminilità. Per comprendere la volontà di Dio oggi il discernimento va fatto insieme, uomini e donne, e poi attuato ognuno secondo il proprio ministero e il proprio carisma. C’è ancora molto da camminare in questo.

Le piacerebbe ritornare un giorno a Milano?

Certo. Amo molto questa realtà che mi ha generato alla fede. Ora, sia io che lei, siamo tanto cambiati, ma rimane intatta la testimonianza di fede che la parrocchia e il santuario di S. Rita sanno donare, come ho potuto constatare anche in questa visita.

Al terzo sollecito, padre Luciano mi saluta. Lo aspettano in Oratorio per un incontro. Pur avendo dilatato l’intervista in due momenti (tarda mattinata e pomeriggio), diverse domande son rimaste sul taccuino, inevase. A me non sono bastati 90 minuti per esaurire un personaggio poliedrico come il Provinciale degli Agostiniani d’Italia. Ad una prossima puntata, dunque.