Un’assidua lettrice di RITAE DICATUM ci scrive:
Cosa si intende oggi per peccato? Se diciamo le preghiere, santifichiamo con la messa le feste, ci comportiamo bene con gli altri, riusciamo a non commettere peccato?
Basta solo questo? Lui si “accontenta” o conoscendo i miei talenti vuole qualcosa di più da me?
E se i miei peccati possono essere veniali (a catechismo me li facevano distinguere) quale colpa non riesco a cancellare con la confessione? Solo i peccati gravi?
Il Padre Redattore risponde:
Il peccato ha un solo significato, quello della parola stessa che bisogna però capire.
La parola “peccato” che conosciamo, è una parola latina che deriva da peccatum, che significa: “infrazione di una regola stabilita dalla comunità”, e se una persona infrange questa regola deve pagare la penitenziam, che in latino si chiama “la multa”.
In realtà questo è un errore di traduzione. Ormai, quindi, ognuno di noi è convinto che il peccato sia il peccatum latino, ma in realtà non è così.
La parola greca amartia ha un significato completamente diverso e vuol dire: “tirando con l’arco, non fare centro”. E questo lo diciamo anche noi: se ci viene presentato un bellissimo oggetto di cristallo e questo inavvertitamente ci cade a terra, noi gridiamo: “peccato!”. Il peccato è il “di meno” rispetto al “di più”.
Veniamo alla vita cristiana: se Cristo ci ha dato la possibilità del centuplo – ‘non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto… ‘ (Mc 10,29) – cioè di vivere la vita cento volte più intensamente e di gustarla cento volte di più, il peccato sarà accontentarsi del di meno. Non per niente il peccato è sempre associato al diavolo, a Satana che ne è l’ispiratore. Nel linguaggio biblico il diavolo è identificato con il numero 6, mentre la totalità, la pienezza della vita che si può avere con Cristo, con il numero 7. Perché? Perché 6 significa 7 meno 1; peccare significa quindi decidersi per il meno invece che per il più.
Allora, dire le preghiere, andare a Messa e comportarsi bene ci sta, ma non basta. Anche il giovane ricco osservava i comandamenti, ma non era sufficiente: la vita chiede il centuplo. Peccare significherà allora solo non volere quel centuplo, quel di più. E il centuplo non lo vuole Cristo da noi, non ce lo impone, ma lo propone a noi, alla nostra libertà, se vogliamo vivere la vita in pienezza.
Da qui si comincia a capire anche la colpa, che non è infrangere una legge, ma venir meno, non volere quel di più di vita che invece la vita stessa chiede e che solo Cristo può darci.
Il peccato originale non è forse stato questo? Adamo ed Eva vivevano il loro rapporto con Dio in piena armonia tra loro e con tutto ciò che li circondava, tanto che la Bibbia dice che erano nudi e non ne provavano vergogna. Ad un certo punto si insinua in loro un sospetto, ispirato da Satana: “e se fossimo felici e in armonia senza Dio?”. E così cedono e si lasciano ingannare da Satana. Ma quale è stata la conseguenza? Adamo deve nascondersi perché ha paura di tutto, persino della sua nudità e tutti e due sono costretti a coprirsi con delle foglie di fico.
Il peccato ci illude di darci più gioia e pienezza nella vita mentre ci da solo paura. Ecco la colpa ed ecco anche la pena. E la pena più grande del peccato è stata ed è la morte perché se Dio è la mia vita, non volere lui è volere la morte.
Il sacramento della Confessione ci rimette la colpa, ogni colpa, ma non la pena. Cristo però nella sua infinita misericordia può concederci anche la remissione della pena.