Guardare indietro?
Serve, per andare avanti

 

Nuotiamo nella società delle lamentele. Oltre che dei diritti mai associati ai doveri. L’emozione ha soppiantato la riflessione. E così viviamo nella liquidità. Ovvero nel regno dell’assurdo portato a compimento.

Eppure basta volger lo sguardo attorno per rinsavire. I nostri nonni – sommi filosofi che non verranno mai citati nelle enciclopedie – suggerivano di guardare ai meno fortunati onde acquistar la saggezza e la fiducia.

Un mese al santuario di santa Rita mi ha ispirato diverse considerazioni. Non ultima quella di ringraziare in ogni momento la Provvidenza.

Ci rabbuiamo per la salute precaria. E come dovrebbero reagire coloro che, inchiodati ad un letto, da anni non possono godere il piacere di una passeggiata?

Ci arrabbiamo per una giornata storta. E a quali imprecazioni avrebbero diritto le persone le quali han subito i peggiori rovesci economici ed esistenziali ? Eppure parecchi di loro han conservato una speranza ed una serenità integre. Si, con l’aiuto di Qualcuno.

Andiamo su tutte le furie per uno sgarbo. Scordando quanti per un’intera vita han patito vessazioni e umiliazioni, senza possibilità di affrancarsi. C’è poco da ricamare sul bullismo adolescenziale o adulto. Alcuni ambiti impediscono una rivolta. E non è questa la sede per spiegarne i motivi. Qui si sollecita soltanto una riflessione.

Per una promozione (lavorativa) mancata, lanciamo fulmini (metaforicamente, non essendo Giove nell’Olimpo) ai superiori. Eppure a milioni di contadini ed operai, per mancanza di mezzi economici, è stato impedito di diventare agronomi, ingegneri, inventori… Non ostante ciò pochi di costoro han impugnato la falce e il martello per eliminare gli odiati borghesi. Si sono accontentati di eseguir alla perfezione il lavoro assegnatogli. Certi che Dio vede tutto e nulla dimentica.

Per una volta applichiamo la massima del “guardare indietro per andare avanti”. Infatti solo confrontandoci coi fratelli più disagiati ci è consentito di camminare con la pace nel cuore.

E bando al clima di competizione che ammorba il nostro tempo. Il quale ci spinge ai traguardi dell’insoddisfazione. Più gradini del successo saliamo, maggiormente cresce in noi la sete del potere. Inestinguibile.

Perciò quando la depressione (altro morbo del benessere) ci spinge al pessimismo peggiore, visitiamo i reparti ospedalieri che ospitano gl’incurabili o gli ospizi, in cui abitano gli handicappati di ogni declinazione, anziani e non.

Ne usciremo con un’altra scala di valori incorporata. Sicuri che l’avere non è tutto; e per favore non confondiamolo con l’essere.

L’unico traguardo a cui dobbiamo tendere è quello del bene. Certi che la fede senza le opere – come esortava già san Giacomo ai tempi apostolici – non serve. Mandiamolo a memoria, per favore.

 

Gaetano