Signore, abbi pietà di me, peccatore!
Nella liturgia di questa domenica Gesù ci mette davanti due persone.
Uno è un fariseo che sale al tempio e prega per essere visto, lodato, celebrato, riconosciuto, quasi che la sua preghiera fosse più rivolta a se stesso che a Dio; insomma quelli che oggi si definiscono “onesti” e credono che solo la loro onestà li salverà.
Anche l’altro sale al tempio ma si ferma in fondo, col capo chino, in un atteggiamento di vero pentimento che è ben diverso dalla superbia arrogante del fariseo. Anch’egli si rivolge a Dio: non per vantarsi, però, ma per implorare misericordia.
Nella liturgia bizantina c’è questo testo che può forse metterci a disagio: “Sforziamoci di imitare le virtù del fariseo, e di emulare l’umiltà del pubblicano, ma detestando in entrambi ciò che è male: tanto la folle arroganza che la sozzura delle colpe”.
La parabola non parla di perdizione o di salvezza, quanto piuttosto della posizione dell’uomo di fronte alla giustizia di Dio, che guarda più al cuore umano che non alla osservanza di una legge.